Traduction d’une partie des Elégies documentaires en italien par Aurora Gentile
Al museo di storia naturale di Chicago
una mappa Pawnee delle costellazioni
un atlante della tribù Skidi
il cielo delle Grandi Pianure
con nuvole di polvere.
Un ovale di cuoio d’alce
38 per 55 centimetri
color cinabro sbiadito
oggetto di una collezione
dopo trecento anni in un santuario.
Meglio dei nostri calcoli in anni luce
essa indica la distanza delle stelle
e il tempo che resta al nostro pianeta
da ora alla sua distruzione.
“In Histoires du cinéma, Godard mostra spezzoni delle riprese di Stevens dei cadaveri di Buchenwald-Dachau nel 1945. La scena successiva mostra Elizabeth Taylor sul cui grembo riposa Montgomery Clift. Quale rapporto immagineremmo fra le due scene, se la voce fuori campo non ci dicesse che il regista è il medesimo e che uno dei sensi possibili dell’accostamento è che occorre vincere la guerra perché si possa costruire «un posto al sole», e che, inoltre, come osserva ancora Godard, «la felicità oscura» che gli proveniva da quel film acquista un altro senso quando scopre che Stevens ha cominciato con la pellicola di 16 millimetri a colori per filmare l’orrore? L’immagine non permette alcuna salvezza, nessuna resurrezione, ma rende possibile un lavoro di legame, di accostamento, di rimandi, ci permette di cogliere come la felicità di una scena si stagli sul fondo di orrore di una distruzione totale, come la bellezza di un corpo copra, e si delimiti, intorno alla molteplicità senza nome dei corpi martoriati della storia. Allo stesso tempo, di istituire però un rinvio dell’immagine che permette di fuoriuscire dal blocco della rappresentazione mortifera. Ovviamente non vi è, qui, nessun potere salvifico delle immagini in quanto tali. Come osserva Roberto Esposito (2006), nel cinema si trova ben espressa la figura della compensatio: se la realtà è questa, il cinema permette di sopravvivere ad essa, liberando uno spazio di sopportabilità, ma, allo stesso tempo, è un mezzo per impedire una esplosione. O, inversamente, come sottolinea Didi-Huberman in questo numero di Psiche: «Sarebbe questa l’estraneità fondamentale dell’immagine: che la sua stessa animazione, fin nelle sue più inquietanti erotizzazioni, richiama una somiglianza cadaverica che tocca, abbraccia, concerne, investe il corpo vedente tutto intero».